Percezione dei buoni pasto in smart working: è un diritto?

Il momento storico che stiamo vivendo, ha inevitabilmente modificato il mondo del lavoro.

Molti lavoratori, infatti, sono costretti a svolgere la propria attività lavorativa prevalentemente dalla propria abitazione, rendendo così necessario modellare i contratti di lavoro subordinato alle attuali esigenze.

L’art. 18 L. n. 81/2017 definisce il lavoro agile (cd. smart working“quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”.

A tale particolare, ma più attuale che mai, modalità di lavoro sono apposte una serie, seppur ancor limitata, di tutele, tra cui la garanzia:
  • di un equo trattamento, in tema di trattamento economico (art. 20 L. n. 18/2017), conforme alle prescrizioni dei contratti collettivi di cui all’art. 51 D.Lgs n. 81/2015.
  • di avvalersi del diritto all’apprendimento permanente in modalità formali, non formali o informali, nonché alla periodica certificazione delle relative competenze.
Tra gli obblighi del datore di lavoro, inoltre, vi è quello di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la propria prestazione in smart working, con riconoscimento quindi del diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa, anche qualora svolta al di fuori dei locali aziendali.

Tra le previsioni attinenti al lavoro agile, ad oggi non risulta normato il diritto alla percezione dei buoni pasto.

Questi ultimi, regolamentati dal Decreto Ministeriale n. 122/2017, consentono al titolare, cioè il lavoratore subordinato al quale sono riconosciuti, di usufruire di un servizio sostitutivo della mensa per un importo pari al valore del buono pasto ricevuto in esercizi convenzionati, quali quelli esercenti le attività individuate all’art. 3 del medesimo decreto.

Essi svolgono dunque, la funzione di sostituire il servizio mensa in favore dei lavoratori subordinati, ai quali il datore di lavoro non possa offrire tale benefit. I buoni pasto possono essere forniti a qualsiasi categoria di lavoratori subordinati che prestino la propria attività a tempo pieno, ovvero parziale ed anche a soggetti che abbiano instaurato un rapporto di collaborazione con il datore di lavoro di natura non subordinata.

Spetta dunque al datore di lavoro, sempre in conformità con i contratti collettivi nazionali, deciderne l’erogazione a favore di coloro che prestano la propria prestazione lavorativa.

L’attuale momento storico impone una riflessione in ordine alla facoltà dei datori di lavoro di decidere unilateralmente l’interruzione dell’erogazione dei buoni pasti ai lavoratori chiamati a svolgere l’attività lavorativa principalmente presso la propria abitazione, quale luogo in cui attualmente è stato prevalentemente confinato lo smart working proprio in ragione della situazione emergenziale legata all’epidemia del Covid-19.

La Corte di Cassazione, in tempi non sospetti, ha avuto modo di pronunciarsi in materia, statuendo che i buoni pasto non costituiscono un elemento “normale” della retribuzione, riconocendogli il carattere meramente assistenziale, precisando che, nell’ipotesi in cui al medesimo non sia riconosciuto il servizio mensa dal datore di lavoro, la relativa “corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore”.
La Corte ha altresì sottolineato che la relativa erogazione è vincolata anzitutto alla durata dell’orario di lavoro, nonché ovviamente ai contratti collettivi.

Successivamente, il Tribunale di Venezia, chiamato a pronunciarsi in tema di buoni pasto e smart working, con la sentenza n. 1069 del 8.7.2020 ha affermato che i buoni pasto, non avendo natura di retribuzione in senso stretto, né di un trattamento necessariamente derivante dalla prestazione di lavoro effettuata, si concretizzano piuttosto in un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro e non rientrano  pertanto nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore ai sensi del sopracitato art. 20 L. n. 81/2017; in questo modo anche il Tribunale di Venezia si è uniformato all'orientramento della Corte di Cassazione.

Alla luce delle pronunce menzionate che si rifanno all’orientamento granitico della Corte di Cassazione, rilevatone il carattere occasionale, l’erogazione dei buoni pasto spetterebbe alla deliberazione unilaterale dei datori di lavoro; allo stesso modo, pertanto, viene riconosciuta in capo ai medesimi datori la facoltà di interromperne la corresponsione in ragione del venir meno del carattere assistenziale che in un’epoca differente ne giustificava l’erogazione.